PokemonGO e l’educazione aumentata o diminuita?
PokemonGO , il gioco basato sui detestabili mostriciattoli manga di qualche anno fa, è sicuramente il talk of the town in questo periodo. E a ragione: ho visto insospettabili neolaureati cadere preda del nerdismo più sfrenato, scaricandosi la app settimane prima del suo rilascio in Italia, per poi rincorrere Pikachu e compagnia da tutte le parti visualizzandoli negli schermi dei loro smartphone.
Io i Pokemon li schifo, ve lo devo confessare.
Non ho mai sopportato né il manga, né la serie di anime che spopolava in Italia alcuni decenni fa, né il concetto di fondo: catturare animali alieni per farli combattere tra di loro… ma veramente?!?
Però mentre la popolarità della app cresceva sempre di più, ancora prima del suo rilascio ufficiale, ho cominciato a farmi delle domande. Cosa c’è che funziona, che attira così tanto, in questo gioco?
il dibattito no…
Più o meno nello stesso momento, è partita la lamentazione dei contrari.
Intendiamoci, l’operazione non è priva di aspetti criticabili; la disseminazione dei pokemon e dei loro ritrovi PokeStop è stata costruita a partire dal patrimonio mondiale di portali del precedente gioco di realtà aumentata Ingress, sempre fatto da Niantic, che scaricava la batteria del mio primo smartphone qualche anno fa, ma vede poi già all’opera in alcuni Paesi meccanismi nient’affatto nascosti che cercano di pilotare la ricerca in certi luoghi commerciali, fast food eccetera (tra cui in prima fila ovviamente c’è McDonald’s), e soprattutto, per come funzionava Ingress e la creazione dei suoi portali, ha coinvolto in maniera molto strategica anche molti luoghi sensibili per l’opinione pubblica, a partire da Auschwitz, fino ad arrivare a molti musei del mondo tra cui gli Uffizi – come ha comunicato con sorprendente e inattesa leggerezza addirittura l’account ufficiale del Ministero dei Beni Culturali italiano:
Avvistato agli #Uffizi #Firenze #PokemonGoItaly #pokemongo pic.twitter.com/xO33v14kqh
— Ministero della Cultura (@MiC_Italia) July 15, 2016
Il dibattito poteva farsi molto interessante: che diritto ha un privato di “invadere” e utilizzare lo spazio pubblico (o pubblico privatizzato) con il suo gioco, che diritto ha lo spazio pubblico, se è tale (e come e in che misura lo è?) di rifiutare questa invasione, e soprattutto quali punti di incontro a metà strada si possono e si dovrebbero trovare per comporre la questione…
Invece niente, i nostri media ci hanno condannato a restare fermi a Funari e Aboccaperta.
Favorevoli o contrari.
Io se volete saperlo ho le mie idee su PokemonGo, le ho anche twittate qualche giorno fa:
Pokémon Go fa uscire i ragazzi di casa, li fa andare in giro. Tutto quello che rimproverate ai giochi di non fare. E adesso che c'è ancora?!
— michele (@micheledipaola) July 20, 2016
Mi sto chiedendo anche quale sia l’opinione dei grandi esperti di gamification, a partire da Jane McGonigal, che nel suo libro fondamentale sul tema raccontava tra i tanti, un gioco da lei inventato che si deve svolgere nei cimiteri. Aspetto con molto interesse un suo contributo al dibattito, mentre non posso fare a meno di registrare che da noi il livello è scarsino; come registra il solito ottimo Mantellini,
In Italia la parola magica “videogames” scatena decime di anziani commentatori furibondi a spiegarci cose che hanno a stento sentito nomnare
— massimo mantellini (@mante) July 24, 2016
(ovviamente si tratta di deciNe)
… e la maggior parte di questi commentatori è al livello “Signora Mia” (che peraltro è lo standard semiufficiale dell’informazione italiana…) quando si potrebbe discutere di un sacco di cose interessanti.
Si potrebbe usare PokemonGo come spunto per tanti ragionamenti:
Si potrebbe ad esempio parlare di quello che ho visto l’altra sera, figli e genitori in giro insieme in bici a cercare i pokemon nel vicinato; oppure di quello che mi ha confidato un’amica che lavora all’informagiovani di Ferrara, che si è vista arrivare giovanissimi utenti mai entrati prima, che giocavano a pokemonGo e hanno scoperto un luogo e un servizio dedicato a loro, ma che nessuno gli aveva fatto scoprire fino a quel momento; si potrebbe vedere in questo gioco una pratica in grado di (finalmente) sdoganare altri e precedenti meritori usi dello spazio incrociato con il digitale, come l’interessantissima Urban Experience di Carlo Infante a Roma, o nel mio piccolissimo, quello che propongo nel mio corso di formazione internazionale Dig-it Up!; si potrebbe segnalare l’esperimento di Repubblica, che ha lanciato un pokemonGo collettivo in Piazza del Popolo a Roma e l’ha seguita in diretta su Facebook, ottenendo che le diverse decine di cacciatori fossero seguite da un milione di spettatori, che hanno generato 9000 commenti sul tema eccetera; si potrebbe discutere di come questo non sia che l’ultimo esempio di un filone di “giochi narrativi” che ha decenni di storia, e che interroga o dovrebbe interrogare chi con le storie lavora, a partire da librai e bibliotecari (tra l’altro, l’articolo linkato si apre con un’ottima ricostruzione del filone di giochi narrativi a cui facevo riferimento).
Da persona che lavora con apprendimento, ragazzi e tecnologie, prima di tutto sentirei il bisogno di discutere cosa abbiamo da imparare da un gioco di questo genere; ad esempio, a costruirci da soli attività ludico-didattiche che facciano uscire da casa (o da scuola) gruppi di giovani a raccogliere informazioni, a scoprire posti, a lavorare in squadra eccetera – mi sembra tanta roba, senza grandissime difficoltà tecniche (basta qualche qr code, qualche smartphone connesso a internet, qualche contatto whatsapp o twitter che invia le missioni… durante Dig-it Up! facciamo così 😉 ) .
La reazione di (alcuni) insegnanti
Un insegnante giovane e curioso ha condiviso oggi in un gruppo Facebook dedicato alle didattiche innovative e in particolare alla metodologia della classe rovesciata, un ulteriore contributo alla discussione: la direttrice dei musei di Torino che, in linea col suo Ministero di riferimento, invita a lasciarsi almeno interrogare da questa novità, facendola dialogare con le opere.
E la reazione è stata disarmante.
Ecco un florilegio dei commenti migliori – ricordate che sono espressi da insegnanti, e in teoria da quelli giù aperti ad innovazione e nuove pratiche, visto che aderiscono ad un gruppo come quello in questione.
Sono un mezzo di distrazione e distruzione dell’intelletto di massa.
MA PERCHÉ SEMPRE SOTTOMETTERCI ALLE BANALI MANIE ……?????
E’ assurdo utilizzare questo mezzo per insegnare….va bene tutto ma questo proprio no!
Non vorrei che mia figlia avesse come insegnante di scienze uno come (…nome del povero insegnante che aveva pubblicato il link)
Paragonare i game alla lettura è una forzatura. Lettori accaniti non si possono paragonare ai passivi videogamers, di solito il paragone in termini di intelligenza è a sfavore dei secondi.
Mi stanno bene tutte le documentazioni scientifiche o le sperimentazioni a medio e lungo termine che attestino un miglioramento dell’apprendimento e lo sviluppo del pensiero critico. Gli articoli di giornale, scritti da non so chi e soprattutto quelli foraggiati dai Mercati mi interessano molto meno. Grazie e buona serata.
Tra un po’ finirá che dovrò inserire qualche animaletto nel testo di matematica per catturare l’attenzione dei miei ragazzi. Alla signora Asproni (la direttrice dei musei torinesi intervistata NdR) suggerirei che forse non è il caso di assecondare certe stupide e oltretutto pericolose mode. Stiamo esagerando.
L’ultimo commento (tra l’altro, postato da un professore particolarmente incattivito, autore di una intera serie di invettive) è quello su cui vorrei fermarmi un attimo. Per rispondere: sì! certo! perchè no? Quanto bisogno avrebbe la matematica di essere resa più divertente, interessante, curiosa!!!
L’altra questione che emerge in continuazione nei commenti, è l’ossessione del Mercato. Non faccio un’altra lista per non essere noioso, ma ce ne sono a quintali.
PokemonGo è in pratica un mostro malvagio che rivende i cervelli dei ragazzi al Mercato.
Mentre evidentemente i libri di testo adottati a scuola sono prodotti da organizzazioni filantropiche (a cominciare da De Agostini, grande azionista delle centrali del gioco d’azzardo italiano…), la scandalosa pratica di cambiarne l’impaginazione ogni paio d’anni senza sostanzialmente modificare i contenuti, col solo scopo di ammazzare lo scambio di copie usate, è una cosa benemerita, e la scuola italiana tutta notoriamente viaggia a vele spiegate verso il sol dell’avvenire, e via così. E tutto questo livore su un gioco che incarna il potere di controllo del Mercato, badate bene, espresso in post dentro ad un gruppo Facebook.
Io purtroppo in un paio di occasioni non sono riuscito a tenermi e ho scritto due cosette. Ne ho cancellate altre quattro o cinque perchè non volevo scatenare il putiferio, anche se certa gente se lo sarebbe meritato. Però metto qua il mio sdegno, il mio disappunto e soprattutto la mia delusione.
Questi, capite, sono quelli bravi.
Che hanno comunque voglia di stare in un gruppo a discutere di come fare meglio il loro lavoro, eccetera.
E ne incontro, di gente così, a decine.
Io davvero non so più come fare. L’ultima parola, qui come nei miei commenti di oggi, voglio che sia questa:
Pensate ai conducenti di carri a cavallo quando gli è passata di fianco la prima automobile.
Provate a guardare questo dibattito in quella prospettiva.
Non ho altro da aggiungere.