Chissà se è la scuola che distrugge la creatività?
Oggi dovevo andare a scuola, ma stavo proprio male, il mio famoso mal di schiena, compagno di mille avventure, ultimamente è parecchio rabbioso e in questi due o tre giorni in particolare ha deciso che io non dovevo poter guidare, star seduto, piegarmi, insomma niente. A meno di non mandar giù antinfiammatori come le caramelle, cosa che aborro ma che mi permette anche in questo momento di non essere uno zombi.
Quindi in gran forma stamattina sono andato alla prima ora in una scuola media, perchè l’appuntamento che avevo lì non potevo proprio farlo saltare: era frutto di una lunga ed elaborata trattativa, per aggirare il veto sulle date che avevo proposto, da parte di una insegnante che aveva una inamovibile verifica. Su questa vicenda, mi sono scambiato diverse mail con un’altra insegnante, che segue il progetto, e a quanto pare le mie mail sono state rigirate a tutti e i commenti privati che facevo su questo veto sono diventati pubblici.
Insomma la prof del veto me ne ha dette di tutti i colori, e in parte aveva anche ragione, questo fatto delle mail rese pubbliche non è piaciuto molto neanche a me, ho cercato di spiegare, ma per due volte mi ha zittito, e se ne è andata dicendo che non voleva nemmeno starmi a sentire.
Ho informato la collega che segue il progetto, che ha risposto… in modo irripetibile, dicendone a sua volta di tutti i colori sulla prima. Ecco, io lì ho capito bene tutto fino in fondo, mi sono sentito in mezzo, strumento di una vendetta trasversale, di un regolamento di conti tra professoresse delle medie, ossia – oddio – le figure più temibili della mia vita scolastica.
mettiamo avanti le mani: un po’ di autorevoli autori
Siccome avevo appena letto sul blog della mamma di uno dei miei bambini-programmatori un post che rilancia la figura e l’opera del sempre ottimo Ken Robinson, mi è venuta subito in mente la faccia ironica del famoso sir, mentre con il sorriso sulle labbra prende a martellate il sistema di istruzione occidentale – e poi subito dopo anche la faccia sorniona di Sugata Mitra, che mentre racconta il suo bellissimo e condivisibilissimo sogno, di quel sistema di istruzione racconta l’origine e il bisogno primario (ossia, creare personale per mantenere in funzione il computer fatto di persone che era l’amministrazione dell’impero britannico). Poi mi sono ricordato che sempre Ken Robinson aveva fatto un altro famosissimo discorso, sul cambiamento dei parametri dell’educazione, dove si parla di cose anche abbastanza sovversive (almeno per la scuola italiana di oggi) come il pensiero divergente, e come l’ormai famoso test che misura il decadimento della creatività con l’aumentare della permanenza nel sistema dell’istruzione, raccontato nel libro Breakpoint and beyond, stranamente ancora inedito in Italia, almeno a quanto mi risulta.
Insomma son fatto così, quando mi fanno incazzare, io non mi metto a gridare insulti o a muover le mani: ricordo e riorganizzo nella mia testa teorie, testi e conferenze che dimostrano come certi problemi si potrebbero risolvere alla radice.
E poi vado a casa e ci rimugino per una settimana mentre mi cresce il mal di pancia.
il potere e la scuola, possibile che nessuno veda il nesso?
Ogni volta che lavoro con gli insegnanti, soprattutto quelli delle medie (che sono praticamente gli unici che – almeno in una certa quantità – ancora accettano di mettere in discussione il loro ruolo, metodo, impatto… mentre alle superiori in genere non c’è proprio speranza) mi stupisco di un certo stupore. Quello che vedo comparire sulle facce degli insegnanti, quando viene evocato il potere insito nel loro ruolo – che evidentemente per chi non lo usa come clava per ottenere soddisfazioni postume sulla pelle di incolpevoli ragazzini di una nuova generazione, è un elemento soggetto a rimozione forzata (lo vedete il gioco di parole, sì?). Mi stupisco del loro stupore, ma forse sono io che, cresciuto a pane e The Wall, sono esagerato dal lato opposto. O forse, a parte i sacrosanti discorsi di Ken Robinson e di Sugata Mitra, c’è anche una questione di persone, da considerare?
Ad esempio se avete figli in età di scuola dell’obbligo, o se con la scuola ci lavorate o ci avete a che fare per lavoro, come me, conoscerete interventi come il life skills training, un format americano brevettato che nella mia Regione è di gran moda. Perché se conoscete questo mondo, sapete anche che interventi, allarmi, priorità, e conseguenti stanziamenti di fondi e risorse, spesso vengono da mode, o da fisse o interessi personali di questo o di quel funzionario regionale. E va beh.
Insomma la mia Regione “ha acquisito i diritti per la realizzazione di una versione italiana” di questo format, coi soldi miei e vostri, e da qualche anno lo sta realizzando. Ci sono formatori certificati, con tanto di albo se ben ricordo, lo stesso format è brevettato, insomma tutte caratteristiche che personalmente mi fanno venire i brividi ma evidentemente sono indice di qualità e affidabilità.
Poi siccome un’altra caratteristica che ben conoscerete se avete a che fare con la scuola italiana è la sua inarrestabile vocazione alle nozze coi fichi secchi, qualcuno ha avuto questa idea: visto che non ci sono risorse per permettere che i formatori realizzino il programma ad ogni anno scolastico, formiamo gli insegnanti, così poi faranno loro – gratis – il lavoro che era pensato per quei formatori certificati e iscritti all’albo. I quali immagino non saranno stati esattamente felicissimi dell’idea – ma onestamente questo non mi interessa.
Mi interessa di più sottolineare che insegnanti come quella che mi è saltata addosso stamattina, poi vanno in classe e magari conducono incontri seguendo un format brevettato e certificato, in cui si chiede di discutere dei rapporti interpersonali all’interno della classe, del suo benessere e della sua capacità di gestire i conflitti interni in modo sano e maturo. E poi all’ora dopo, compito in classe a sorpresa, così imparate a chiacchierare mentre facciamo “le life“.
Immaginatevi, voi stessi alle medie, a parlare con una prof che vi sprona a dire cosa c’è che non va in classe.
E voi vi fate la lista a mente: i tuoi modi quando gridi in faccia alla gente per niente, la tua incapacità cronica di sintonizzarti coi nostri stati d’animo, il tuo disinteresse per le nostre vite private… e tutto quello che in tanti potremmo aggiungere.
Ecco, voi quella lista gliela fareste sentire, a voce alta, ad una così?
Io credo che questo, più di tutto, ammazzi la creatività. La necessità di conformarsi, di piegare la schiena, di imparare a compiacere, a ripetere quel che alcuni vogliono sentirsi dire. Oppure il prezzo spesso salatissimo, almeno per la capacità di autodifesa di un adolescente, che si paga se si mettono in discussione queste cose.
La Mongolfiera
Quando ero bambino mi hanno regalato (tra i tanti) anche questo bellissimo libro di Mario Lodi, in cui si raccontano le mirabolanti avventure di una quinta elementare, tra verità e invenzione. Ok, le medie sono un altro pianeta, gli ormoni, l’adolescenza eccetera. E le superiori anche di più. Però.
Però uscendo dalla scuola stamattina, sulla vetrata c’era un manifesto delle celebrazioni del 25 aprile, da cui ho scoperto di essermi perso un’escursione sui sentieri partigiani delle colline lì intorno, non lontano da casa mia, con la testimonianza di un partigiano (nome di battaglia Sandro) punteggiata dagli interventi musicali dell’ensemble di musica contemporanea fondato a scuola e condotto dal mio professore di italiano delle superiori.
Mi si è accesa la lampadina, ho ripensato alle sue lezioni meravigliose, che ti facevano venire voglia di leggere tutto e poi di scrivere anche tu, e mescolavano italiano e latino e greco e filosofia e storia e letteratura inglese, qualche volta anche a due – tre – quattro voci coinvolgendo i diversi colleghi, senza mai dare un compito a casa, sapendo prima quando e su cosa saremmo stati interrogati, eccetera.
Anche quello era scuola, no? Anzi, forse era scuola più di tutto.
Insieme alle attività integrative autogestite, che un gruppo di maestre e maestri della mia scuola elementare si erano inventati a fine anni 70, facendoci restare a scuola nel pomeriggio per fare teatro, musica, pittura e un sacco di altre cose bellissime. Insieme alle tante storie che leggo on-line, da mezzo mondo.
Insomma i sistemi li fanno le persone. Il potere ce l’hanno le persone: quello di schiacciarti, ma anche quello di cambiare le cose. E anche l’innovazione, la fanno le persone. Anche pagandone le conseguenze, sia chiaro. Il maestro Manzi ha avuto 7 richiami disciplinari dal Ministero, per dire.
Mi vengono tante idee, tante domande… a voi?